Dal completo abbandono del complesso architettonico fu interrotto da diverse iniziative locali, in particolare quelle capitanate dall’Associazione Desegni.
Dal completo abbandono del complesso architettonico fu interrotto da diverse iniziative locali, in particolare quelle capitanate dall’Associazione Desegni.
03/07/2024
Il Comune di Verona indice un Avviso Pubblico per la partecipazione alla fase di co-programmazione sulle ipotesi di gestione dell’immobile Palazzo Bocca Trezza.
Informazioni e contatti al link
La co-progettazione, avviata dal Comune di Verona in ottica di Amministrazione condivisa, con il coinvolgimento della società civile e in primis del Terzo Settore, ma anche di altre realtà del territorio, vuole popolare il Palazzo con progetti sperimentali e di innovazione sociale.
L’iter prevede l’attivazione di soggetti competenti e interessati radicati sul territorio, che in rete possano costruire nuovi percorsi per il Palazzo per rispondere ai bisogni della comunità, in linea con le strategie dell’Amministrazione comunale.
É in fase di avvio un primo momento in cui i soggetti interessati potranno visitare il cantiere aperto per conoscere i luoghi e contribuire all’ideazione della futura gestione del Palazzo portando idee e proposte. Le visite sono aperte a Enti del Terzo Settore, associazioni, gruppi informali e cittadini attivi e gestite dalla società che cura il cantiere.
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Conclusi i lavori per l’edificio scolastico, si avviò quindi l’iter per il recupero del giardino per un suo uso pubblico. Inizialmente, l’Amministrazione ipotizzava di suddividerlo in tre parti, delle quali solo una ad uso completamente pubblico. Inoltre, i due muri laterali sui vicoli sarebbero stati in parte demoliti per sostituirli da cancellate, al fine di dare più luce e prospettiva al giardino.
Diversa, invece, l’idea presentata da Italia Nostra, che suggeriva il mantenimento di un unico spazio esclusivamente ad uso pubblico. Ipotesi che, grazie anche all’interessamento dei cittadini, venne in parte recepita dall’Amministrazione con il progetto di sistemazione del giardino redatto nel maggio del 1971 dalla Direzione Lavori Pubblici.
I lavori, affidati all’impresa Nazzareno Bellè, ebbero inizio il 3 luglio 1972 per essere completati il seguente 28 settembre. Con l’occasione fu demolita anche la vecchia autorimessa occupata dall’autofficina.
L’insediamento dell’Istituto d’Arte all’interno dell’antico palazzo si era presentato da subito assai problematico, proprio per la difficoltà di adattare un nobile edificio residenziale ad una scuola tecnica e, a pochi anni dall’inaugurazione, gli spazi non erano più sufficienti. Questo portò, dopo un lungo iter, all’abbandono della struttura, nella quale gli studenti rimasero fino all’inizio del 2011. Durante gli ultimi anni di utilizzo dei fabbricati, il Comune aveva promosso e realizzato un ulteriore intervento di riqualificazione e ammodernamento del giardino. Il progetto, elaborato dagli uffici comunali, mirava a riprendere le forme del giardino all’italiana così come descritte graficamente nel Catasto Napoleonico di inizio Ottocento.
I lavori ebbero avvio il 20 novembre 2007 e furono completati nel marzo 2008, consegnandoci il giardino nell’impostazione attuale.
Nel 2014 la 1ª Circoscrizione affida la gestione del giardino all’associazione Desegni, che si propone, coinvolgendo l’associazione ZeroPerCento e la Società Cooperativa 3A, di tenere viva l’attenzione verso il complesso monumentale promuovendone l’uso pubblico in contrasto ad alcune ipotesi di vendita a privati ipotizzate dell’allora Amministrazione Comunale.
Sono anni caratterizzati da moltissime iniziative culturali tra cui: laboratori creativi, concerti, cinema all’aperto, mercatini artigianali e visite guidate alla scoperta del quartiere; il primo evento pubblico fu la rassegna cinematografica di documentari “Bridge Film Festival”.
Solo il piccolo annesso ottocentesco delle antiche scuderie riuscì a trovare una nuova funzione temporanea come sede per le attività delle associazioni, mentre, per l’annesso al lato opposto, ex Casa del Giovane Fascista, venne ipotizzato nel 2014, l’insediamento dell’Emporio della solidarietà (il progetto, promosso dalla Curia Veronese non vide però la luce).
Nel 2016 l’Università degli Studi di Verona, il LAA-LAVUE ENSA Paris e molte associazioni di Veronetta inizieranno un progetto di ricerca/azione nel quartiere Atlas#Veronetta, con base operativa nelle scuderie del Bocca Trezza. L’attività di ricerca avrà il merito di mettere in rete per la prima volta ben 18 associazioni del terzo settore.
Nel 2017, si tentò di arginare il degrado causato dalle precarie condizioni della copertura rivolta verso via XX Settembre per bloccare le continue infiltrazioni d’acqua che avevano prodotto dilavamenti e deterioramenti sia del fregio in facciata sia di quello del grande salone interno. L’intervento, a causa delle limitate risorse economiche, si limitò alla sistemazione dello sporto di gronda, con la sostituzione di alcuni mensoloni e alla parziale messa in sicurezza degli affreschi con l’esecuzione di maltine di bordatura.
All’associazione Desegni subentrò D-Hub dal 2016 fino all’inizio dei lavori ci restauro dell’intero compendio partiti nell’estate del 2022. In questi anni di gestione l’associazione ha proposto, con un approccio multiculturale, l’inserimento socio-lavorativo e l’animazione di comunità coinvolgendo cittadini e frequentatori dei giardini, attività che continua a portare avanti nonostante la mancanza di uno spazio adeguato.
Con la fine dell’uso scolastico inizia l’uso pubblico del solo giardino e dell’annesso d’ingresso – le scuderie – su via XX Settembre.
Nel 2014 la 1ª Circoscrizione affida la gestione degli spazi all’associazione Desegni, che si propone, coinvolgendo l’associazione ZeroPerCento e la Società Cooperativa 3A, di tenere viva l’attenzione verso il complesso monumentale promuovendone l’uso pubblico in contrasto ad alcune ipotesi di vendita a privati ipotizzate dell’allora Amministrazione Comunale.
Sono anni caratterizzati da moltissime iniziative culturali tra cui: laboratori creativi, concerti, cinema all’aperto, mercatini artigianali e visite guidate alla scoperta del quartiere; il primo evento pubblico fu la rassegna cinematografica di documentari “Bridge Film Festival”.
Solo il piccolo annesso ottocentesco delle antiche scuderie riuscì a trovare una nuova funzione temporanea come sede per le attività delle associazioni, mentre, per l’annesso al lato opposto, ex Casa del Giovane Fascista, venne ipotizzato nel 2014, l’insediamento dell’Emporio della solidarietà (il progetto, promosso dalla Curia Veronese non vide però la luce).
Nel 2016 l’Università degli Studi di Verona, il LAA-LAVUE ENSA Paris e molte associazioni di Veronetta inizieranno un progetto di ricerca/azione nel quartiere Atlas#Veronetta, con base operativa nelle scuderie del Bocca Trezza. L’attività di ricerca avrà il merito di mettere in rete per la prima volta ben 18 associazioni del terzo settore.
Nel 2017, si tentò di arginare il degrado causato dalle precarie condizioni della copertura rivolta verso via XX Settembre per bloccare le continue infiltrazioni d’acqua che avevano prodotto dilavamenti e deterioramenti sia del fregio in facciata sia di quello del grande salone interno. L’intervento, a causa delle limitate risorse economiche, si limitò alla sistemazione dello sporto di gronda, con la sostituzione di alcuni mensoloni e alla parziale messa in sicurezza degli affreschi con l’esecuzione di maltine di bordatura.
All’associazione Desegni subentrò D-Hub dal 2016 fino all’inizio dei lavori ci restauro dell’intero compendio partiti nell’estate del 2022. In questi anni di gestione l’associazione ha proposto, con un approccio multiculturale, l’inserimento socio-lavorativo e l’animazione di comunità coinvolgendo cittadini e frequentatori dei giardini, attività che continua a portare avanti nonostante la mancanza di uno spazio adeguato.
Nuova Centrale Tecnologica e filosofia impiantistica – In tutto l’edificio il progetto prevede un sistema di climatizzazione con riscaldamento e raffrescamento a pavimento con controllo dell’umidità assicurato da un sistema di ricambio ad aria primaria. Al di sopra del nuovo volume sulla corte minore, verrà posizionata la pompa di calore per la generazione dei fluidi termovettori e quanto necessario per la loro distribuzione in tutto l’edificio tramite appositi cavedi ricavati riducendo al minimo le demolizioni e utilizzando prevalentemente i passaggi esistenti. La nuova centrale tecnologica viene quindi integrata nell’inserto contemporaneo affacciato alla corte minore; il nuovo sistema di frangisole, oltre a filtrare l’apporto di luce solare, permette anche di mascherare l’importante volume degli impianti esterni. La gestione impiantistica è pensata per rispondere alle esigenze di flessibilità d’uso, dando la possibilità di modulare clima e luce necessaria per le diverse tipologie di utilizzo monitorando i possibili sprechi energetici. SI tratta di un sistema impiantistico molto avanzato che permetta la “regia” dei vari impianti – compresi quello di gestione degli accessi e videosorveglianza – attraverso un numero quasi infinito di combinazioni di aggregazione o isolamento degli spazi, assecondando la necessità di modulazione previste dal futuro programma di utilizzo, tramite l’impiego delle “smart technologies”
La manica cinquecentesca del palazzo raccoglie un ricchissimo repertorio di decorazioni pittoriche e stucchi, in gran parte ascrivibili alla stessa equipe di artisti che affiancò Andrea Palladio in alcuni interventi nella vicina Vicenza: Bartolomeo Ridolfi, Bernardo India e Anselmo Canera, tra gli altri. Dopo decenni d’abbandono e d’incuria, che seguirono ai danni bellici, alle complesse vicende conservative e a un utilizzo scolastico non sempre rispettoso, il palazzo e i suoi annessi versavano in uno stato di degrado molto avanzato che raggiungeva il suo apice proprio sulle superfici decorate. Queste presentavano complessi fenomeni di degrado che includevano estese polverizzazioni e decoesioni dello strato pittorico, unitamente a diffusi sollevamenti con conseguente perdita di ampie porzioni di decorazione. Vista la situazione particolarmente complessa, in accordo con la soprintendenza, si è adottato un iter metodologico rigoroso per la selezione di una serie di tecniche e prodotti, valutando in sito l’efficacia dei trattamento, in paricolare attraverso il confronto tra consolidanti organici di sintesi, consolidanti a base di nanosilici e nanocalci. Proprio queste ultime hanno dato i risultati migliori e sono state impiegate nella maggior parte dei consolidamenti.
La corte Fontanelle, un tempo spazio negletto e inutilizzato, diviene la porta d’ingresso principale per i suggestivi ambienti recuperati negli interrati. Qui, grazie ad un’ampia cavea gradonata, l’accesso da vicolo Fontanelle diverrà anche un luogo di relazione e – perché no – potrà essere sede di performance ed esercizi ludico-sportivi. Inoltre il nuovo percorso, essendo direttamente collegato con la pubblica via, dà l’opportunità di pensare l’accesso agli interrati in modo autonomo rispetto alle parti restanti del complesso.
Collegamenti verticali attorno alla corte minore – Dopo una lunga e attenta analisi delle potenzialità del palazzo e della sua storia, il progetto ha deciso di sacrificare la scala che negli anni Settanta del Novecento aveva concentrato in un unico punto la circolazione verticale, rendendo i percorsi da un’ala all’altra molto tortuosi e poco funzionali. Se le premesse all’intervento erano infatti il miglioramento dell’accessibilità, la flessibilità d’uso e la possibilità di un utilizzo fluido degli spazi, l’intervento tardo novecentesco era chiaramente in contrasto con queste istanze andando inoltre a invadere parzialmente gli spazi esterni, con un volume incongruo e fuori scala. La corte minore, finalmente liberata, diviene quindi sede di un inserto palesemente contemporaneo che – riprendendo la sagoma degli originari volumi – ospita al suo interno una spazio di mediazione tra le quote dell’ala cinquecentesca e quelle del corpo più recente. Non una semplice scala quindi, ma una gradonata che fungerà da spazio cerniera tra i diversi ambienti del palazzo, potenzialmente occupati da funzioni differenti.
Il palazzo presenta una struttura ‘pluristratificata’, che permette di individuare le preesistenze, il grande cantiere cinquecentesco, le successive trasformazioni e gli ampliamenti sei-settecenteschi, le pesanti menomazioni ottocentesche e gli interventi novecenteschi che ancor oggi la connotano. Un’architettura, che si offre come un interessante palinsesto da decifrare e che s’impone nella sua dimensione culturale come preziosa risorsa e importante testimonianza della storia di Verona. La proposta progettuale ha preso così le mosse dalla lettura e “comprensione” del testo edilizio, nella convinzione che solo un’analisi approfondita del manufatto, della sua storia delle sue stratificazioni e trasformazioni, delle diverse tecniche costruttive e dei materiali impiegati, debba guidare con sicurezza un intervento sul monumento. Come sosteneva Arturo Sandrini :”ogni intervento di restauro dovrebbe salvaguardare tutto il potenziale informativo che la materia permette di ‘leggere’: dai processi di costruzione, a quelli di trasformazione e d’uso, in una parola tutti i ‘vissuti’ della fabbrica, compreso – laddove risulta possibile – le stesse tracce del degrado, che contribuiscono pur loro a delineare la storia unica e irrepetibile di ogni manufatto architettonico”. Per quanto riguarda la funzione, l’idea alla base del percorso di co-progettazione è stata quella di rispondere alle esigenze sociali evidenziate dal comune con una risposta fortemente innovativa, fondata essenzialmente su un assunto: dare una risposta culturale alle istanze sociali espresse dal progetto preliminare. Gli interventi di maggior rilievo riguardano palazzo Bocca Trezza (Lotto A). Essi contemperano le esigenze di conservazione rigorosa del complesso monumentale con il miglioramento della sua accessibilità per l’insediamento di funzioni pubbliche – per le quali è garantita la massima flessibilità di utilizzo degli spazi. Compatibilmente con la necessità di conservare il bene, il progetto prevede infatti anche la riqualificazione energetica e il miglioramento sismico del palazzo. Accesso principale – Il nuovo ingresso al palazzo si attesta su via San Nazaro, in corrispondenza del sedime su cui un tempo insisteva il quarto lato del palazzo con il relativo “andito” rinascimentale, ed è realizzato tramite una semplice apertura sul prospetto cieco che tamponò, in modo sommario, gli squarci lasciati in vista dalle demolizioni ottocentesche. Un “volume verde” che ricompone la chiusura della corte verso la strada, mira a ricostituire l’articolazione dei volumi originari, proteggendo i prospetti e la loggia che in origine si aprivano su un cortile chiuso. Il nuovo ingresso immetterà in uno spazio di relazione dal quale, attraverso una nuova scala e un nuovo ascensore, si accederà ai diversi livelli del complesso.
Negli ultimi anni di utilizzo scolastico (conclusosi nel gennaio 2011) il Comune aveva promosso e realizzato un intervento di riqualificazione del giardino che si presentava ancora come modificato durante la permanenza della Federazione Fascista.
Il progetto, elaborato dall’arch. Francesca Farinelli e dall’agronomo Stefano Oliboni mirava a riprendere le forme del giardino all’italiana così come descritte graficamente nel Catasto Napoleonico di inizio Ottocento.
I lavori ebbero avvio il 20 novembre 2007 e furono completati nel marzo 2008.
Da evidenziare come nel giardino fosse stata inserita una statua raffigurante Nettuno. La scultura di pietra risalente al sec. XVII era conservata presso i Musei Civici quando, nel 1934, venne concessa in uso alla Federazione Fascista che la inserì nel contesto della fontana realizzata in posizione centrale al giardino. Nell’immediato dopoguerra ne fu proposto il restauro e il trasporto nella Loggia di Fra Giocondo, ma nulla venne attuato.
La statua fu rubata nel 1971 ma successivamente ritrovata.
Terminato il lungo periodo di reggenza della Serenissima sulla città, agli inizi del sec. XIX ci viene fornita una dettagliata descrizione del palazzo grazie agli estimi: “Casamento ad uso di varie affittanze composto da quattro cantine sotterranee a volto, il piano terreno abbraccia un portico spazioso d’ingresso, con quattro luoghi laterali, ed un passaticcio, una corte con pozzo, altro portico a volto a cinque luci, e sette luoghi interni, un de quali ad uso di picioli stalli, e gli altri quasi tutti a volto ed un Orto di circa vanesse ventuna, irrigatorio colle acque del Fiumicello di Montorio.
Nel Catasto napoleonico di inizio secolo il dettagliato rilievo ci permette di visualizzare l’intero complesso edilizio composto dal palazzo principale (n. 443), i due edifici affiancati su via San Nazaro (442, 441), l’edificio posto a chiusura del fronte sull’attuale via XX Settembre (n. 445 e 446), e il vasto giardino (n. 444).
Di quest’ultimo ne è data una rappresentazione, forse ideale, nella quale si coglie un filare di quelli che sembrano alberi posti lungo tre lati; la zona centrale appare quella di un tipico giardino formale all’italiana.
Alla morte di Gottardo Murari, primo artefice dell’attività mercantile, il palazzo pare non essere più luogo di produzione e commercio di tessuti, ma vera e propria dimora signorile. Sotto Giovanni, figlio di Gottardo, sono registrate 24 persone, delle quali 13 servitori e nessun impiegato all’attività produttiva. Tra questi compare per la prima volta un “zardinier”, a conferma della funzione squisitamente ricreativa che avevano assunto gli spazi aperti. In seguito, intorno alla fine del seicento, si ha notizia che nel giardino sono presenti 30 cipressi e ben 600 limoni, oltre ad aranci e gelsomini, il tutto irrigato sempre dalle acque del Fiumicello di Montorio. Fino alla metà del XIX secolo si succedono cambi di proprietà e diverse trasformazioni architetoniche minori.
Si può ipotizzare che i lavori per la realizzazione del nuovo grande complesso edilizio furono avviati da un anziano Sebastiano Murari verso la metà del sec. XVI per essere poi portati a termine dal figlio Girolamo il quale, nel 1557 alla morte del padre, risultava indicato come mercante.
Inoltre, l’unione in matrimonio con Margherita Fiorio della Seta portò alla famiglia Murari una ricca dote tra cui palazzo Fiorio della Seta al Ponte Nuovo.
Visto l’importante status sociale raggiunto dai Murari, per la costruzione del palazzo vennero chiamate le migliori maestranze del tempo; purtroppo non è noto il nome dell’architetto che ne diresse i lavori, anche se sono forti i riferimenti con la scuola sanmicheliana, in particolare per la grande somiglianza con palazzo degli Honorij poi Guastaverza, costruito su progetto di Michele Sanmicheli (1484-1559) nel 1555/1560.
Le preesistenze: lo “schifanoia” trecentesco. – Secondo Annamari Conforti Calcagni il sito del complesso attuale coinciderebbe con un possedimento denominato “schivenoglio” (ossia “schifanoia”) che agli inizi del XV secolo risulta essere di proprietà di Azzone da Castelbarco. Secondo la storica veronese, doveva trattarsi di una “casina di delizia” tipicamente cortese e di non scarso interesse per l’urbanistica veronese del Trecento. Queste preesistenze, fissate nella carta dell’Almagià, sono confermate materialemente da alcuni rinvenimenti nel cantiere in corso.
Palazzo e giardino, due parti un tempo intimamente legate in un complesso unitario comprendente anche il lungo corpo delle scuderie che chiudeva l’isolato verso quella che è ora via XX settembre, furono fatalmente separate a partire dalla metà del XIX secolo. Lo stretto legame tra il costruito e lo spazio verde, celebrato anche nelle decorazioni cinquecentesche delle sale al piano terra, dove alle finestre aperte sul giardino reale si mescolavano vedute affrescate di giardini ideali e splendidi paesaggi, si allentò prima con l’abbandono delle geometrie all’italiana che lasciarono il posto alla piantagione di ortaglie e alberi da frutto, fino alla separazione fisica della metà del XX secolo, quando il giardino, isolato dal resto del complesso, divenne parte dello spazio urbano. La rigorosa regolarità delle aiuole storiche e degli orti lasciò il posto prima a un disegno pseudo paesaggistico, tipico del periodo tardonovecentesco, poi – all’inizio del nuovo millennio – a un modesto tentativo del recupero delle linee originali. I connotati originari, irrimediabilmente persi, non permettono più di leggere il giardino come parte di un complesso storico. Obbiettivo primario del progetto è quindi quello di riannodare il legame tra il palazzo, il giardino e gli edifici minori, proponendo un nuovo disegno progettuale che reinterpreti in chiave contemporanea le linee del giardino all’italiana. La riproposizione avverrà principalmente a livello geometrico, nel tracciato dei vialetti in terra battuta. Il giardino sarà impostato tutto su un unico livello, con i vialetti in terra battuta alla stessa quota dei parterre erbosi – senza cordoli e senza arredo fisso – per agevolare l’uso ludico del verde da parte dei fruitori, evitando la creazione di barriere architettoniche. La rigida geometria d’impianto permetterà eventualmente di ospitare – preferibilmente nelle zone laterali – anche orti didattici e aree per piante officinali che potranno essere gestiti dagli utenti. Ispirandosi alla modalità di utilizzo dell’associazione che gestiva il giardino prima dell’intervento, come arredo è previsto l’impiego di sedie da libera installazione, in metallo colorato del tipo utilizzato nelle “Tuileries” a Parigi; ognuno potrà posizionarle liberamente all’interno del giardino e della corte, favorendo l’uso aggregativo dello spazio.
I due annessi che inquadrano l’accesso al giardino da via XX Settembre, storicamente legati alla vita del giardino, riprenderanno il loro ruolo divenendo elementi vivificanti dello spazio aperto. La Casina, originariamente “Casa del giovane fascista”, che nel recente passato aveva subito profonde trasformazioni, è stata pensata come sede di una caffetteria sociale, strettamente legata alla fruizione del giardino ed elemento di cerniera tra il complesso e il contesto urbano. Ridisegnando l’accesso (usato dalla fine del XX secolo per il trasporto di statue dell’Istituto d’Arte), per ricomporre una geometria che dialoghi con le linee del giardino, la nuova rampa sarà in grado di garantire l’accessibilità ai disabili, conducendo ai servizi dedicati al giardino e agli interni, mentre una nuova piattaforma, schermata all’interno di un volume che riprende la forma a esedra dell’originario ingresso, renderà accessibile la terrazza. All’interno un nuovo e enfatico collegamento, tramite una grande scala elicoidale, metterà in comunicazione i due livelli della Casina, originariamente collegati solo dalla scala esterna di accesso alla terrazza panoramica, che domina il giardino. Le scuderie verranno invece interessate da interventi minori di manutenzione straordinaria e rifacimento delle coperture ammalorate per adeguarli alle future funzioni socio-culturali.
Finalmente, il 12 dicembre 2019, si concluse l’iter per l’affidamento di “servizi tecnici di ingegneria e architettura relativi agli interventi di restauro e rifunzionalizzazione di palazzo Bocca Trezza, nell’ambito del Progetto per la riqualificazione urbana del quartiere di Veronetta”, primo passo concreto per il ritorno ai fausti del passato del grandioso palazzo. I recenti accadimenti riguardano la vita del cantiere e alcune interessanti curiosità, come il ritrovamento (dopo vane ricerche del gruppo di progettazione del palazzo) della statua seicentesca raffigurante Nettuno.
Una giovane studentessa in Economia dei Beni Culturali, Anna Dassiè, l’ha ritrovata, ricomposta e restaurata (avevamo solo una foto dopo il suo ritrovamento ridotta a pezzi) e in bella mostra all’inizio del percorso espositivo del chiostro del Museo degli Affreschi G. B. Cavalcaselle alla tomba di Giulietta.
Il Comune aveva individuato a quale nuova funzione destinare il palazzo: l’Istituto Statale d’Arte Napoleoni Nani, che precedentemente trovava sede nel pressi della chiesa di Sant’Eufemia.
Il progetto iniziò dalle indagini stratigrafiche e suscitò un grande interesse da parte del Soprintendente Piero Gazzola, e ci fornisce, attraverso le sue stesse parole, una descrizione dello stato di conservazione delle decorazioni: “Nel 1930 quando divenne casa del fascio, subì rimaneggiamenti molto discutibili.
Anche l’apparato di pitture murali di P. Farinati, B. India e del Brusasorci, che rivestiva – senza quasi soluzione di continuità – le pareti interne e i muri esterni della monumentale fabbrica fu coinvolto nei guasti conseguenti ai malaccorti restauri del ‘30 e dell’incendio del 1943.
Ridipinti, gravemente ustionati, in parte caduti e in parte cadenti, sono altresì gli stucchi raffinati del Ridolfi, che completano la decorazione a grottesche delle sale al piano terreno. […] La pellicola del colore è ovunque sollevata a causa dei grassi e delle vernici con cui le superfici furono spalmante nel 1930; nelle sale del piano terreno le pitture sono rese ancor più fragili dalle violenze subite; gli intonaci per il processo di polverizzazione della reazione dei carbonati in bicarbonati, sono diventati un agglomerato privo di coesione, franoso e destinato a polverizzarsi in breve tempo.
Causa lo stato dell’intonaco, ogni consolidamento costituirebbe un effimero palliativo: pertanto il salvataggio non può prescindere dallo stacco, dal trasferimento delle pitture su telai che saranno sagomati per consentire la rimessa in loco delle immagini”.
Prima di insediarvi una nuova funzione, e avviare quindi i necessari restauri, rimaneva da risolvere la situazione degli inquilini, la cui maggior parte risiedeva nel palazzo dal 1945.
Essendo ancora in vigore i contratti d’affitto stipulati dal Demanio, il Comune propose il pagamento di un indennizzo per lasciare liberi i vari locali. La questione si dimostrò assai complessa e lunga.
Si pensi che nel 1962 erano presenti ancora undici inquilini sui circa trenta totali; i locali furono completamente liberati solo entro l’estate del 1967.
La conclusione della secondo conflitto mondiale lasciò il palazzo, così come buona parte di Veronetta, in tragiche condizioni.
Nonostante questo, l’edificio aveva trovato da subito nuovi occupanti, tra i quali una trentina di famiglie sfollate, due officine: una per riparazione di autoveicoli, una per costruzione di letti in ferro e la sezione veronese del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, Circolo Educativo Ricreativo “Verona”.
Dal 1949 iniziarono una serie di lavori che in parte risollevarono il destino del palazzo.
Nello stesso periodo il Comune di Verona provvedeva alla soppressione del Fiumicello e alla realizzazione di una nuova rete fognaria nel quartiere.
La presenza dell’Associazione Caduti e Feriti per la Rivoluzione fascista portò alla realizzazione, all’interno del palazzo nella sala limitrofa al grande salone del piano primo, del Sacrario per i caduti, visitato da Mussolini il 26 settembre 1938.
L’anno successivo ebbe inizio la Seconda Guerra Mondiale che ne vide l’Italia partecipe dal 10 giugno 1940. Durante il periodo bellico, e soprattutto dopo l’8 settembre 1943, non è chiaro come fossero utilizzati il palazzo e le sue pertinenze.
Anche qui il conflitto provocò, come purtroppo in tutta la città, ampie devastazioni.
L’intervento edilizio si concentrò in un’opera di più ridotta dimensione, e sicuramente più economica, quale la costruzione della Casa del Giovane Fascista.
Questa fu ricavata con la trasformazione di uno dei due piccoli edifici ottocenteschi posti su via XX Settembre. Il nuovo edificio, progettato dall’ing. Enrico Cavallini, presentava “ampie sale per gli uffici decorate sobriamente, magazzini vasti per gli equipaggiamenti, un ambulatorio per le visite mediche danno un vasto respiro agli organi di comando e di organizzazione dei Giovani Fascisti”.
Inoltre, buona parte dei materiali furono offerti gratuitamente dai diversi fornitori, così come “le maestranze stesse vollero concorrere da parte loro offrendo gratuitamente un’ora di lavoro in più dell’orario normale giornaliero”.
La nuova costruzione fu inaugurata, come altre opere pubbliche della provincia, il 28 ottobre 1934, anniversario della Marcia su Roma.
Con quest’ultimo intervento il complesso raggiunse la sua conformazione definitiva. Al suo interno si trovavano buona parte delle strutture amministrative fasciste, quali: Federazione Provinciale Fascista, Fascio di Verona, Comando Federale dei Fasci di Giovanili di Combattimento, Delegazione provinciale dei Fasci Femminili, Ufficio Sportivo della Federazione, Istituto Fascista di Cultura, Associazione del pubblico impiego, Associazione della Scuola Primaria, Associazione della scuola Secondaria, Associazione Ferrovieri Fascisti, Associazione Postelegrafonici Fascisti, Associazione Aziende dello Stato ed Industriali, Caserma del Giovane Fascista, Associazione Caduti e Feriti per la Rivoluzione fascista.
La donazione coincide con l’avvento del primo anno dell’era fascista.
Nuove ipotesi di riconversione del palazzo a sede dell’Accademia Cignaroli e del Museo di Storia Naturale naufragano presto per far spazio a funzioni di tipo amministrativo/politico. Nel frattempo tra il 1925 e il 1927 iniziano importanti lavori di sistemazione della copertura, dello sporto di gronda e degli affreschi di facciata, questi ultimi per mano del pittore Raffaello Brenzoni.
La contrarietà della Soprintendenza impedì lo specchiamento della partitura cinquecentesca sul lato della corte verso il Fiumicello.
Il Partito Nazionale Fascista occupò dal 1934 l’immobile tramite atto di alienazione.
Erano infatti inoltre nel complesso edilizio ulteriori, ed importanti, lavori di sistemazione ed ampliamento e un progetto verso via San Nazaro per trasformare il corpo laterale del palazzo, prospettante via Fiumicello, riproponendo un nuovo progetto in sostituzione di quello bocciato dal Soprintendente Gerola pochi anni prima. Non se ne fece nulla.
Rimasta sola, la nobildonna Lavinia Trezza, era solita tenere aperto il palazzo per organizzare ricevimenti benefici per le Colonie Alpine e per la Croce Rossa Italiana, attività che le valse nel 1901 il riconoscimento con diploma di benemerenza “per il suo premuroso concorso all’opera dell’Associazione” da parte di quest’ultima.
Le cattive condizioni economiche, testimoniste dalle numerose ipoteche per far fronte ai debiti, influenzarono la scelta di lasciare l’intero proprietà al Comune di Verona, così come espresso nel testamento olografo del 18 maggio 1910: “Il mio palazzo che abito come si trova lo lascio in dono alla Città di Verona perché venga considerato come palazzo di pregio artistico e desidero che vengano conservati i festeggiamenti nel Carnevale di beneficienza e soprattutto pro Colonie Alpine e Croce Rossa”.
La signora Trezza venne a mancare il 21 gennaio 1922, all’età di 75 anni.
Dopo tre anni la donazione diventò ufficiale. Nel dicembre del 1925 la Soprintendenza ai Monumenti aveva espresso viva preoccupazione per le condizioni del palazzo, evidenziandone i punti più critici: “il tetto è malandato in più parti e minaccia rovina; la gronda che protegge il fregio affrescato al sommo della facciata è pericolante; l’interno del palazzo è in uno stato di completo abbandono e continuo deperimento” e chiedendo al comune di intervenire con urgenza73.
Da sottolineare come, nella corrispondenza, il fregio posto sottogronda sia definito come “l’affresco esterno più colorito e conservato che si trovi a Verona”.
Teresio Bocca (Fubine, 10 dicembre 1825 – Verona, 4 marzo 1897) è stato un generale, filantropo e politico italiano.
Nel 1890, sotto il governo di Francesco Crispi, fu nominato Senatore del Regno dal re Umberto I di Savoia.
Si ritirò a vita privata dedicandosi assieme alla moglie, la nobildonna Lavinia Trezza, a opere di beneficenza.
Il secondo grande intervento edilizio del sec. XIX coinvolse il fronte posto su via San Nazaro mutandolo radicalmente. All’epoca – seconda metà degli anni ’80 – Gaetano Trezza doveva essere già molto anziano, tanto da spegnersi nel 1888 all’età di 82 anni.
E’ probabile quindi che tale intervento di trasformazione fosse stato eseguito sotto la direzione del genero il generale Teresio Bocca che nel 1868 ne aveva sposato la figlia maggiore Lavinia.
Nel corpo principale (n. 1097) venne demolita gran parte dell’ala nord mantenendone le sole parti laterali per due scansioni di aperture sulla destra e tre sulla sinistra, permettendo così un’ampia vista del cortile interno arrivando addirittura a scorgere via XX Settembre attraverso la loggia del Farinati.
Dopo due decenni con diversi cambi di proprietà fu Gaetano Trezza il primo promotore delle trasformazioni edilizie che interessarono il complesso di Veronetta.
Infatti, pochi anni dopo esserne entrato in possesso, esattamente nell’agosto del 1857, venne inoltrata una richiesta, a firma dell’ing. Gustavo Strauss, per la completa trasformazione del fronte sull’attuale via XX Settembre.
Il progetto proposto prevedeva la demolizione completa del corpo esistente – che chiudeva l’intero fronte racchiuso tra il fiumicello e vicolo Fontanelle – con la costruzione di due edifici distinti posti agli estremi e collegati tra loro da un lungo passaggio con balaustra e sottostante cancellata tripartita.
Questa proposta edilizia mirava alla valorizzazione del grande cortile interno, soprattutto per il desiderio di spostare su via XX Settembre l’ingresso al palazzo; in questo modo i visitatori avrebbero dovuto attraversare il giardino prima di giungere nei locali interni. Il progetto, però, non venne attuato.
Successivamente ci fu il completo rifacimento del fronte su strada principalmente volto a rendere il giardino visibile dall’esterno.
Il palazzo rimase di proprietà della famiglia Murari dalla Corte Brà fino al 1837, anno dal quale si registrano diversi passaggi di proprietà in breve tempo. Il palazzo, infatti, venne inizialmente venduto a Bertani Giovanni, morto però prematuramente. Passò quindi alla moglie Margherita Carli ed ai figli Anna, Antonia, Domenica, Giovanni Battista e Gaetano.
La registrazione della proprietà all’impianto del catasto austriaco ne permette, nuovamente, una chiara identificazione: m.n. 1095 Casa; m.n. 1096 Casa con bottega; m.n. 1097 Palazzo che si estende sopra parte del n. 1096; m.n. 1098 Ortaglia in piano; m.n.1299 Casa
La nuova area urbana acquisita dalla famiglia Murari era probabilmente utilizzata come sede amministrativa – e forse anche produttiva – in quanto nell’anagrafe del 1583 accanto a Girolamo Murari dalla Corte si ritrovano ben 35 persone, di cui 21 impiegati nelle lavorazioni di produzione e commercio dei tessuti.
I Murari, infatti, nascono costruttori edili ma in pochi decenni diventano grandi mercanti inseriti in circuiti internazionali, con interessi produttivi e commerciali che coinvolgevano non solo l’intera penisola italiana, ma anche la Francia, le Fiandre, l’area germanica e l’Inghilterra.
La cronologia della realizzazione del Palazzo non è precisa, ma il magnifico apparato decorativo presente al suo interno ci fornisce però preziosi indizi.
Il Vasari, nel suo Delle “Vite dei più eccellenti Pittori Scultori et Architettori”, edito nella sua seconda edizione nel 1568, cita le opere di Bartolomeo Ridolfi e tra queste “alcune camere bellissime […] come anche sono quelle che fece in casa dei Murari vicino a San Nazaro”, segno che il palazzo doveva essere, almeno in parte, già edificato.
Altro termine cronologico ci è fornito da Paolo Farinati, autore delle decorazioni nella loggia sul cortile che oggi porta il suo nome, il quale riferisce di aver terminato le decorazioni nel 1588, il che fa supporre essere l’ultimo grande intervento decorativo nel palazzo.
Inoltre, è molto probabile che il nuovo palazzo fosse stato costruito sfruttando gli edifici preesistenti, quali i due corpi graficamente descritti nella citata carta dell’Almagia.
Il 19 giugno 1531 Sebastiano e Andrea Murari acquistano di un vasto appezzamento di terra dotato di edifici “murati, coppati et solarati” sito in contrada San Nazaro, corrispondente proprio all’attuale area posta tra le vie San Nazaro e XX Settembre.
Un’area ben identificabile nella carta detta dell’Almagià (post 1460) che risulta suddivisa in due porzioni distinte separate da un muro trasversale che taglia a metà il giardino; in corrispondenza delle due principali strade sono visibili dei fabbricati che appaiono di maggior importanza nell’affaccio sull’attuale via XX Settembre.
I recentissimi ritrovamenti archeologici effettuati agli ingressi di via San Nazaro e vicolo Fontanelle San Nazaro ci conducono alla Verona romana del I sec. d.C.. Un’importante valore testimoniale è certamente il ritrovamento di una tomba ad incinerazione tipo “bustum”, che prevedeva la realizzazione di un rogo del caro estinto nel luogo scelto per la conservazione in urna (in questo caso un locale interrato del quale sono rimaste alcune porzioni murarie.
Assieme ai pochi resti ossei sopravvissuti al fuoco (acceso all’interno di un tronco cavo usato come camera di combustione del quale ne rimane una porzione carbonizzata) è stata trovata una moneta, un asse romano che ci permette di datare i ritrovamenti in modo sufficientemente accurato.
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Il restauro di Palazzo Bocca Trezza offre un’opportunità rara per la città.
Trasformare la quasi totale assenza di funzioni predeterminate e l’avvio di una prima fase di coprogettazione in valore aggiunto di un’opera pubblica attesa dalla cittadinanza da tanto tempo.
La storia stessa del palazzo è ricca di vicende che in qualche modo rendono la sua odierna indeterminatezza una cosa che potremmo percepire come “naturale”; la sua creazione in quella parte di città che nel cinquecento era considerata la “ZAI” di Verona, gli avvicendamenti di proprietà seguiti a cambio di funzioni drastiche con un lento passaggio da dimora signorile a residenza popolare e, infine, la sede di un istituto d’arte.
L’opportunità è quindi cogliere questa particolare condizione temporale di in-definito per raccontare una nuova storia, quella di un luogo “in-finito” che prende forma e sostanza sotto i nostri occhi.
La sua corte rievoca le origini del palazzo costruito da una famiglia di commercianti di lana e signori terrieri, i Murari dalla Corte, ed è il simbolo urbano di via San Nazaro, spazio di relazione tipico nella sua configurazione architettonica, ma oggi estranea al quartiere; è una cerniera che unisce la “Fabbrica del Palazzo” con il suo giardino formando un continuum urbano indissolubile.
L’altra opportunità, sottintesa nel tema progettuale, è legare le esigenze sociali che hanno reso possibile il finanziamento del restauro di Palazzo Bocca Trezza con un approccio culturale che sappia annodare i fili delle future attività.
Un unico luogo con “infiniti” spazi tenuti insieme da un’idea di cultura inclusiva.
È questo il senso del nome scelto per il progetto, “CORTE DELLA CULTURA”, ed è da qui che parte il racconto del suo restauro.
Comunicare ora, già nelle prime fasi di definizione progettuale, il suo futuro, significa raccontarne le vicende, la bellezza, le opportunità che potrà offrire alla città.
Condividere il futuro è il primo passo per recuperare memoria storica e orgoglio civico per un bene comune.
Il progetto esecutivo per il restauro di palazzo Bocca Trezza a Verona fa seguito al progetto definitivo redatto dallo stesso RTP ed approvazione del progetto definitivo con Delibera della Giunta Comunale n. 281/2020 del 04/09/2020. L’intervento costituisce il secondo lotto di un più ampio progetto coordinato dal Comune di Verona per la riqualificazione del quartiere Veronetta, finanziato grazie ai fondi del Bando Periferie stanziati dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 25 maggio 2016. Il restauro mira a insediare nel compendio del palazzo cinquecentesco – un tempo palazzo Murari della Corte Bra – funzioni pubbliche a servizio della cittadinanza. Caratteristiche principali dell’intervento – Il compendio del palazzo si trova in un lotto dalla superficie lorda complessiva di circa 4350 mq.
La conclusione del secondo conflitto mondiale lasciò il palazzo, così come buona parte di Veronetta, in tragiche condizioni. Nonostante questo, l’edificio aveva trovato da subito nuovi occupanti, tra i quali una trentina di famiglie sfollate e due officine, una installata in un garage costruito pochi anni prima nel lato est del giardino.
Con la caduta del regime fascista il complesso era automaticamente passato al Demanio dello Stato il quale, nell’agosto del 1950, ne promosse i lavori di parziale ripristino. Già nel maggio del 1945 il sindaco Aldo Fedeli aveva, però, invocato l’illegittimità della vendita al PNF del 1934, chiedendo il ritorno del palazzo al Comune. Prese così avvio una lunga causa che si concluse solo nel maggio 1959 quando il compendio fu riconsegnato alla città di Verona.
Nel frattempo era stata individuata la nuova funzione a cui destinare il palazzo: l’Istituto Statale d’Arte Napoleoni Nani, che precedentemente si trovava nei pressi della chiesa di Sant’Eufemia. Inizialmente, l’Istituto d’Arte doveva trovare sede all’interno del solo corpo principale del palazzo, escludendo il giardino e i due fabbricati minori su via XX Settembre.
I lavori di adeguamento e restauro furono ufficialmente terminati il 10 dicembre 1969 ma non fu possibile procedere con l’intervento di sistemazione del giardino a causa della presenza della citata autofficina che lascerà lo stabile solo nell’aprile del 1971. In attesa del suo recupero, nell’opinione pubblica del quartiere si era fatto strada il desiderio di un utilizzo collettivo per il giardino, in quanto unica area verde facilmente accessibile in una zona densamente edificata. La situazione in cui versava non era però delle migliori a causa del generale stato di abbandono e della grande quantità di rifiuti e immondizia presenti, nonostante fossero ancora superstiti alcune grandi piante: tre cedri, una magnolia, un pino e un abete.
Con la morte del marito, avvenuta nel 1897, la Nobil Donna Lavinia Trezza, rimase sola ma, non per questo smise di organizzare a palazzo ricevimenti benefici per le Colonie Alpine e per la Croce Rossa Italiana.
La signora Trezza venne a mancare il 21 gennaio 1922 e una settimana più tardi, il 28 gennaio, fu letto il suo testamento con il quale il palazzo veniva lasciato al Comune di Verona perché “venga considerato come palazzo di pregio artistico”.
Dopo una lunga gestazione, dovuta anche alle mutate condizioni politiche, il lascito venne definitivamente accettato solo il 9 giugno del 1925. Inizialmente, si pensò di trasferire all’interno del grande complesso il Museo di Storia Naturale, destinando il giardino ad orto botanico. Ma questa proposta non trovò applicazione in quanto negli ambienti politici e sindacali fascisti della città era emersa la necessità di trovare una “degna e decorosa sede” che potesse ospitare le diverse attività del partito.
A tale scopo venne costituita la Società Anonima Casa del Fascismo Veronese, presieduta dal Conte Giuseppe Bernini Buri, alla quale fu affidato il palazzo. Questa ne promosse il restauro e nel novembre del 1926 la nuova sede venne ufficialmente inaugurata.
Non è chiaro, in questa prima fase come fosse utilizzato il giardino; alcune fotografie storiche fanno supporre la presenza, almeno parziale, di un terreno con coltivazioni orticole.
Probabilmente lo spazio esterno assunse una funzione più rappresentativa a seguito della vendita del compendio al Partito Nazionale Fascista, avvenuta il 19 marzo 1934. Infatti, le fotografie scattate in occasione dell’inaugurazione della Casa del Giovane Fascista, il 28 ottobre 1934, ci mostrano uno spazio ordinato e molto formale; inoltre, nella zona centrale, fu installata una fontana completata da una statua raffigurante Nettuno, risalente al sec. XVII e proveniente dai Musei Civici.
Il grande palazzo rimase ai Murari fino al 1648 quando, per far fronte ai debiti, venne ceduto ad altri proprietari, per poi tornare alla famiglia nel 1689. Con il rientro dei Murari sembra ritrovarsi l’importanza del grande giardino urbano il quale viene descritto con la presenza di settanta cipressi e seicento limoni oltre ad aranci e gelsomini, il tutto irrigato dalle acque del Fiumicello di Montorio. I Murari dalla Corte Brà lasceranno definitivamente il complesso di Veronetta solo nel 1837; questo, dopo diversi passaggi di proprietà, sarà acquistato da Gaetano Trezza nei primi anni ’50 dell’Ottocento.
Il Trezza, già nell’agosto del 1857, aveva studiato una proposta edilizia mirata alla valorizzazione del grande giardino, nel desiderio di spostare sull’attuale via XX Settembre l’ingresso al palazzo; in questo modo i visitatori avrebbero dovuto attraversarlo e godere della sua bellezza prima di giungere ai locali interni. A questo primo progetto, a firma dell’ing. Gustavo Strauss, ne seguì un secondo nel settembre del 1864, ad opera dell’ing. Tommaso Antonio Ederle. Entrambi però non trovarono compimento; bisognerà, infatti, attendere i primi anni Settanta per la realizzazione di un terzo progetto che porterà alla attuale impostazione su via XX Settembre.
Lo stesso Trezza fu promotore anche di un secondo grande intervento edilizio con la radicale trasformazione del palazzo principale, per la quale fu incaricato l’arch. Angelo Gottardi. Negli anni ’80 venne così demolita un’ampia porzione di fabbricato rivolta su via San Nazaro, creando un interessante collegamento visivo tra questa e via XX Settembre. Si può anche ipotizzare, come ci mostra il rilievo eseguito per il Catasto Italiano d’impianto, l’inserimento di un elemento decorativo, forse una fontana, nel centro del giardino.
Durante il cantiere venne a mancare Gaetano Trezza ed i lavori proseguirono sotto la direzione del genero, il generale Teresio Bocca, che nel 1868 ne aveva sposato la figlia maggiore Lavinia.
La presenza della famiglia Murari nella contrada di San Nazaro è attestata già nel 1492: si tratta del nucleo che fa capo a “Zuan de Zorzo de Bosero Murar”, Capomastro di origine milanese. Un successivo rilevamento, nell’anno 1517, ci permette di definire più nel dettaglio la composizione della famiglia. Giovanni, figlio di Giorgio, risulta avere due discendenti: Sebastiano, con il figlio Girolamo, e Andrea. L’attività di famiglia, verosimilmente grazie a Sebastiano, doveva essere variata dall’iniziale
legata all’edilizia alla più redditizia del commercio. Infatti, nelle anagrafi del 1529 Sebastiano è identificato come draperius, ossia fabbricante di tessuti. Probabilmente grazie a questa nuova capacità economica si deve l’acquisto, il 19 giugno 1531, di un vasto appezzamento di terra dotato di edifici “murati, coppati et solarati” sito in contrada San Nazaro, corrispondente proprio all’attuale area posta tra le vie San Nazaro e XX Settembre. Un’area ben identificabile nella carta detta dell’Almagià (post 1460) che risulta suddivisa in due porzioni distinte e separate da un muro trasversale che taglia a metà un ampio spazio verde non edificato. Qui prese avvio la costruzione del grande palazzo, conclusasi verso gli ultimi decenni del Cinquecento, nel quale i Murari trasferirono la sede amministrativa e probabilmente anche quella produttiva, della loro impresa.
E’ molto probabile che anche il grande giardino fosse utilizzato per scopi produttivi, approfittando dell’acqua del Fiumicello; infatti, nel 1583, oltre a Girolamo Murari è rilevata la presenza di 35 persone, di cui ben 21 impiegati nelle lavorazioni per la produzione ed il commercio dei tessuti. Un utilizzo che verosimilmente proseguì solo per pochi anni in quanto, già nel 1593, nel palazzo sono rilevate 24 persone, delle quali però nessuna implicata nell’attività commerciale. E’ invece segnalata la presenza di un zardinier, segno di un crescente interesse verso il giardino.